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domenica 25 settembre 2016

Il bullo attacca perché ha paura di se stesso

Gli adolescenti aggressivi in realtà proiettano sulle vittime un conflitto interiore con parti della propria personalità. Il web amplifica questa dinamica. La soluzione? L’attenzione. E lavorare sulla socialità.

Il bullismo è sempre esistito ma la causa che lo ha ulteriormente diffuso e potenziato va attribuita a Internet. La possibilità di nascondersi dietro un’identità fittizia costituisce un formidabile incentivo a esprimere impunemente le pulsioni erotiche e aggressive, dove la comunicazione è virtuale ma le conseguenze sono reali.
Come ogni leader, anche se negativo, il bullo interpreta le esigenze di gruppo e cerca di realizzare desideri che i seguaci, da soli, non riuscirebbero neppure a immaginare. Dietro comportamenti sprezzanti ed esibizioni di potenza rivela però un conflitto interiore con parti di sé che, non riuscendo a integrare, proietta sulle vittime: i coetanei affetti da inestetismi, i gay, gli handicappati, gli immigrati o il primo della classe, il famoso “secchione”.
I testimoni diretti o indiretti delle sue bravate, benché consapevoli di essere complici di un atto immorale e talora penalmente perseguibile, evitano di denunciare o testimoniare perché si identificano con lui. In ogni caso, dobbiamo considerare le condotte trasgressive dei ragazzi come richieste di aiuto.
Da parte sua la vittima, anche se innocente si vergogna, si colpevolizza e, temendo di suscitare uno scandalo, preferisce mantenere il segreto. Ma accade che il bullo sia una bulla e che, attraverso l’esclusione e la maldicenza, diretta o virtuale, riduca la perseguitata alla disperazione.
Il bullismo femminile, più sottovalutato e meno frequente di quello maschile, rimane spesso segreto anche se, psicologicamente, può risultare più devastante. Per aiutare le vittime occorre saper cogliere i segnali di malessere, anche indiretti: se improvvisamente cala il rendimento scolastico, considerano un incubo che rischia di cronicizzarsi.
Il cattivo uso della comunicazione rivela spesso gravi carenze nelle relazioni fondamentali. Di conseguenza, richiamare i ragazzi fuori dalle pareti domestiche, favorire le amicizie, offrire forme di partecipazione e d’impegno, è il modo migliore per contrastare la dominazione delle tecnologie.
Resta comunque il sospetto che, se avessimo potuto individuare precocemente il male di vivere che li opprime e intervenire efficacemente, avremmo potuto evitare molte sofferenze. L’attenzione è il contributo migliore che possiamo offrire all’evoluzione dei ragazzi, aiutandoli a far buon uso della loro aggressività.


Articolo di Silvia Vigetti Finzi da “La Lettura” del Corriere della Sera del 25 settembre 2016

giovedì 15 settembre 2016

L'agente:"I genitori guardino nei cellulari dei ragazzi"

Lisa Di Bernardino è una poliziotta, vicequestore aggiunto della polizia postale di Milano .Nelle sue giornate di lavoro ci sono storie di pedofilia, di cyberbullismo sessuale, sexting. Spesso sono storie di minori.
“E’ così. E’ chiaro che davanti ai rischi di Internet i minori sono più vulnerabili”.
Cosa possono fare i genitori per scongiurare quei rischi?
“Costruire un legame di fiducia e rispetto con i figli, tanto per cominciare. Però ci sono anche dei ruoli e fra i ruoli di un genitore c’è quello di tutelare i figli, anche da fatti penalmente rilevanti. Questo può voler dire entrare nella sua sfera privata”.
Cioè controllarla?
“Sì, ma non diamo a questo controllo accezione negativa. Parliamo di tutela e prevenzione, invece. Io voglio sapere se mio figlio scambia materiale che non dovrebbe attraverso il suo cellulare, voglio vedere i contatti della sua rubrica…”
E la privacy?
“Anche mio figlio, che è un adolescente, mi ha detto: mamma tu non rispetti la mia privacy. Gli ho risposto che non siamo alla pari e che io ho il dovere di controllare quello che lui fa. Chiedete a un genitore dov’è il telefonino de figlio quando va a dormire. Nessuno si preoccupa di prenderlo, lo credono al sicuro nella sua cameretta e magari lui sta mandando messaggi, foto, sta parlando con il mondo o sta vivendo un pericolo”.
Perché i ragazzini si scambiano video dai contenuti sessuali?
“Perché non c’è più il senso del pudore, anzi spesso c’è una gara a mostrarsi ma il fatto è che non si torna indietro. La nostra sfida come Polizia postale è riuscire ad entrare nelle teste di questi ragazzi prima che facciano clic, dare loro strumenti per fargli dire: mi devo fermare, questo non si cancella più dalla rete.
Quando la prudenza diventerà un automatismo culturale il gioco sarà fatto.
Articolo di Giusy Fasano pubblicato sul Corriere della Sera del 15  settembre 2016