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martedì 22 settembre 2015

Nella "buona scuola" i profughi ridipingono le aule

Probabilmente la “buona scuola” è tale se passa anche da piccoli gesti quotidiani d’accoglienza e solidarietà. Accade a Pesaro: ci troviamo nella primaria Olivieri, dove stamani-proprio com’è accaduto in altri istituti-gli studenti hanno fatto rientro nelle loro aule. Ma quei muri non erano gli stessi che avevano lasciato (e salutato) con l’arrivo dell’estate.

Gli spazi interni della scuola sono stati infatti ritinteggiati. Un’operazione che Ha visto coinvolti non solo genitori e insegnanti, ma anche giovani profughi del mali e del Gambia che,grazie alla cooperativa Gulliver,s’impegnano in attività di volontariato e contribuiscono alla manutenzione del verde e del decoro urbano.

“Un esempio di civismo e capacità di rimboccarsi le maniche”ha commentato il sindaco Matteo Ricci. Ma soddisfatte sono anche l’ex preside Margherita Mariani (“questo è un mix perfetto di volontariato e integrazione”) e la nuova dirigente scolastica Anna Scimone, che in una lettera d’augurio di inizio anno rivolta agli studenti, oltre a citare Madre Teresa di Calcutta,scrive così:”La scuola -come io la penso- è quasi una quarta dimensione dello spirito. Un tempo e uno spazio tenuto insieme dal sociale sforzo di comunicare e dall’impegno morale di educare. Come spazio è un luogo di incontro e di confronto dove ogni persona trova il modo di realizzarsi pienamente come individuo”.
Quello di Pesaro non è un caso isolato. A Varese, ad esempio, i profughi hanno ridipinto l’asilo (recinzioni e parco giochi compresi). Mentre a Budrio, in provincia di Bologna, stanno imbiancando le aule della scuola di musica. E la lista continua.





Articolo di Gianluca Testa pubblicato dal Corriere della Sera del 14 settembre 2015.

Il controllo possibile spetta ai genitori:educare e dare limiti

I genitori hanno tante buone ragioni per essere preoccupati. Si continua a dire che la Rete è un’opportunità, ma non si dice abbastanza che è anche un pericolo, o meglio: che può diventare un pericolo. Circa un ragazzino italiano su quattro tra i 9 e i 10 anni frequenta abitualmente ( e liberamente ) Facebook: solo ( sottolineato solo ) un terzo è estraneo al web.
Parlare di ragazzini è generico, perché in buona parte si tratta di bambini, se l’infanzia dura ancora fino a dieci anni. Va da sé che i genitori non avrebbero di che preoccuparsi se il mondo digitale non fosse, per  sua stessa natura e costituzione ( quasi come ragione stessa del suo esistere ), totalizzante: invasivo e quindi tirannico, specialmente per menti fragili come quelle infantili e preadolescenti.
Certo, i social network sanno che bisogna essere “politicamente corretti”, vietando ( sulla carta ) l’accesso ai minori di 13 anni. Ma è un’ipocrisia o una foglia di fico: in realtà sanno bene che il web è ( anche qui per sua stessa natura ) un’area franca, fuori controllo, in cui i bambini possono mentire, cioè dichiarare un’età che non hanno. L a bugia è ammessa, anzi viene incoraggiata. Bugia veniale? Sì e no, cari genitori. Sì, perché esistono menzogne oggettivamente più gravi. No, perché un territorio anonimo e totalizzante ( e dunque totalitario ) non è un paese per bambini, tant’è vero che il cyberbullismo impazza ( il 9% ) è un tasso altissimo).
L’unico controllo possibile ( o impossibile ) contro questo territorio fuori controllo spetta a papà e mamma: o meglio alla capacità non di punire la menzogna, ma di porre dei limiti, delle regole. Cioè di educare: occuparsene prima di preoccuparsene.


Articolo di Paolo Di Stefano pubblicato dal Corriere della Sera del 16 settembre 2015.